Italiani e immobili: è la fine di un lungo e appassionato amore?
IDEA – Settembre 2018
Giovedì 27 settembre, a Cherasco, un forum dedicato all’analisi dei rischi potenziali e delle opportunità da cogliere in un settore cambiato in modo epocale.
Case, appartamenti, rustici, hanno per lungo tempo rappresentato il sogno degli italiani. Un amore che per decenni, sino a qualche anno fa, è stato quasi sempre ricambiato; le statistiche nel settore immobiliare parlano chiaro, evidenziando che il 60% della ricchezza degli italiani è investita in case e abitazioni. D’altronde, negli anni Settanta e Ottanta, quando in famiglia si parlava di investimenti, il ritornello abituale era: “Compra immobili, compra immobili, compra immobili”!
Capire l’evoluzione registrata in questo settore non è semplice. Ecco perché Sergio Contegiacomo, financial advisor “Allianz Bank”, con la collaborazione del professor Ezio Bruna, ha pensato di organizza
re il forum dedicato al tema “Il mercato immobiliare nel 2020: rischi potenziali e opportunità da cogliere” che si svolgerà giovedì 27 settembre con inizio alle 18,30, presso l’hotel “I Somaschi” di Cherasco.
Ecco, in anteprima per la rivista “IDEA”, alcune riflessioni che Sergio Contegiacomo, acuto analizzatore delle evoluzioni del mercato, condivide attraverso questa rubrica, con i nostri lettori.
Una domanda spontanea: perché gli italiani hanno sempre “creduto” nel mattone?
«Per rispondere a questo quesito occorre porre attenzione a una doverosa premessa: secondo uno studio della Banca d’Italia il valore totale delle attività immobiliari nel nostro Paese ammonta a 5.800 miliardi di euro. Una cifra di gran lunga superiore al montante complessivo delle attività finanziarie, che è pari a 3.900 miliardi di euro. Il motivo per cui la casa o, meglio, l’investimento immobiliare, sia considerato sicuro è da ricercarsi in due ragioni: la prima di natura finanziaria e l’altra psicologica. Il mattone è stato il bene rifugio per eccellenza nei periodi di alta inflazione, gli anni Settanta e Ottanta, momenti in cui i prezzi lievitavano del 15-20% ogni dodici mesi. Quelli erano gli anni in cui, per usare una metafora, “I soldi correvano dietro le cose”. Inoltre, mentalmente, ed è un fattore da non trascurare, il presunto valore degli immobili conforta e non preoccupa. L’ipotetico prezzo di un immobile rispetto a quello di un’azione, di un’obbligazione o di un fondo comune ha il grande vantaggio di essere ignoto fino a quando lo si cede. E, credetemi, questo aspetto è certamente gratificante psicologicamente, ma pericoloso in senso economico. Gli immobili non sono quotati e, quindi, per definizione immuni dallo svantaggio derivante dal poterne controllare il prezzo».
La non trasparenza dei prezzi è uno svantaggio economico, ma, in fondo, non rappresenta un grande “atout” psicologico? Non sarebbe più opportuno effettuare scelte che rafforzino una misurata razionalità economica?
«Facile a dirsi, ma è assai più difficile da percorrere questa strada. Quando gli immobili scendono molto di valore e di prezzo, come è accaduto nell’ultimo decennio, le persone temporeggiano o svendono… e dopo lunghi ed estenuanti tempi di attesa si concretizzano quelle che io definisco le “compra-svendite immobiliari”».
Da quando è “cambiato il vento”?
«Personalmente penso che il vento abbia virato drasticamente il 15 settembre 2008, quando poco dopo l’una di notte falliva “Lehman Brothers”, allora la quarta banca d’affari degli Stati Uniti d’America. Da quell’istante “il futuro non è più stato come il passato”. A rafforzare questa considerazione è anche uno studio di “Tecnocasa” che evidenzia come, dal 2007 al 2017, gli immobili nelle principali città italia anni ’70 e ’80 si investiva in immobili. E poi la richiesta di case negli ultimi anni è fisiologicamente diminuita perché nel frattempo quasi l’80% degli italiani è diventato proprietario della casa in cui vive. A ciò si aggiunga anche che le culle sono vuote e che i figli, se possono, rimangono in casa con i genitori sino a tarda età. E aggiungo: i ragazzi di oggi incarnano la prima generazione che sta peggio dei propri padri. Se anche volessero, a causa di lavori saltuari, precari e redditi bassi, non avrebbero i requisiti per poter accedere al credito bancario. A livello sociologico, poi, i cosiddetti “millenial”, la generazione nata dal 1981 al 1996, sono interessati al possesso, all’utilizzo delle cose anche in condivisione con altri e non alla proprietà. Mi limito a fare una semplice riflessione: e se avessero ragione loro?».
Un cambio di mentalità dettato da nuove visoni e ragioni…
«Certamente. Il fisco ha fatto la sua parte dando il colpo di grazia al settore immobiliare. Dal 2009 le imposte sulla casa sono salite del 172%, garantendo all’erario un introito pari a 30 miliardi di euro all’anno, tra Imu,Tasi e Tari».
E allora come comportarsi?